“Non basta avere ragione”.
Si tratta di un grido di allarme, una provocazione: “non basta avere ragione, bisogna vincere” è il concept della residenza che pone questioni urgenti e pratiche che riguardano la quotidianità dell’attivismo, il suo rapporto con la politica, il ruolo e il senso delle azioni che mette in campo.
Indagare le nuove modalità dell’attivismo, dando voce ad attivisti e attiviste
A fronte di una generazione di attivistə sempre più preparata rispetto ai temi e alle policies, emerge disinteresse e distanza verso la politica. O il bisogno di recuperare strumenti per poter affrontare la dimensione del rapporto con la politica.
In questo dialogo tra politica e attivismi, è necessario rompere lo squilibrio di partenza: l’attivismo, oggi come ieri, ha bisogno di conquistare spazio pubblico, aumentando la propria capacità di parlare alla società, per poter rispondere ai bisogni e realizzare i desideri con idee capaci di rispondere ai bisogni e di realizzare il desiderio di una società più giusta, equa, sostenibile.
Questo può avvenire in molti modi: attraverso la costruzione di alleanze strategiche; lavorando affinché le proprie idee siano parte del discorso pubblico e imponendo così l’agenda alla politica; mostrando alle parti coinvolte la convenienza di una scelta a discapito di altre. Occorre mettere a disposizione “un pezzo di sé”: per i movimenti (così come per i partiti) accettando una costante contrattazione tra l’istinto a preservare una sorta di purezza e la possibilità di convergere, per avere la forza necessaria a dare forma a politiche trasformative.
Promuovere un diverso rapporto degli attivismi con la politica (e viceversa!), ragionando su bisogni e desideri reciproci
Oggi, rispetto al passato, abbiamo partiti sempre più deboli, con strutture per certi versi scalabili e sempre più spesso caratterizzate da dinamiche chiuse Questa debolezza può essere superata attraverso nuove relazioni tra partiti e società che non passano semplicemente attraverso performance comunicative ma che hanno bisogno, appunto, di nuove alleanze strategiche. In questa fase, dunque, sembra fondamentale fare pressione sulla politica per rendere naturale e proficuo allearsi con lə attivistə e capire, parallelamente, come si vincono i cuori e le menti delle persone.
Contribuire attivamente a individuare strategie, strumenti e linguaggi per dare più forza all’attivismo
Da questo punto di vista, usare degli esempi potrebbe tornare utile: uno di questi è quanto è avvenuto attorno all’elezione e al primo mandato di Alexandria Ocasio-Cortez al Congresso degli Stati Uniti d’America. Un altro esempio per certi versi simile (e per altri molto diverso) è quello di Podemos in Spagna: un partito nato nel contesto di un’emergenza (quella economica del 2008), capace di individuare dal nulla un rappresentante mediatico (Pablo Iglesias) e costruire, parallelamente, reti e strutture di confronto con lə attivistə. Queste storie, che, per certi versi, potrebbero essere già in parte superate, segnalano la velocità con cui questi riferimenti possono cambiare ma possono essere d’aiuto per osservare come, dietro l’immagine dellə candidatə che tuttə osserviamo e studiamo, c’è una coalizione di interessi e gruppi anche molto diversi tra loro.
Non solo: queste storie raccontano percorsi che, anche a fasi alterne, hanno saputo trovare e sperimentare un giusto bilanciamento tra il bisogno di costruire un gergo capace di rafforzare i legami tra le persone più coinvolte e quello di individuare una lingua comune alle altre. La questione del linguaggio, che (lo sappiamo) è insieme una questione di potere e generazionale, di genere e post-coloniale, è dunque un altro tassello che non possiamo non prendere in considerazione. Entrambi questi esempi pongono 2 questioni – tra le altre.
- Legami funzionali. Pur con tutte le caratteristiche di contesto di cui bisogna tenere conto, entrambe queste esperienze mostrano la possibilità di portare l’attivismo a costruire legami strutturali con la politica, in una dimensione “pattizia” e reciproca.
Quali altre forme di legame funzionale con la politica possono esistere? Andare a cercare unə ad unə lə parlamentarə che non rispettano le promesse e chiederne conto? Trovare dellə propri campionə, tra lə attivistə (o tra lə politicə? O entrambə?) con cui creare un rapporto duraturo a livello nazionale? Raccogliere soldi e, in un gesto dimostrativo ma anche sostanziale, dare un enorme assegno ad unə candidatə per sostenere la sua campagna elettorale? Iscriversi ai partiti?
- Campionə mediaticə cercasi. Entrambe queste esperienze hanno avuto bisogno di individuare unə campione mediaticə capace di aggregare e trainare le istanze di gruppi anche molto diversi. A fronte di un sistema mediatico come quello di oggi, questa questione non è eludibile: in passato, abbiamo avuto casi in cui queste figure hanno preso il sopravvento; altre in cui sono statə campionə solo apparenti.
Le logiche mediali, quando si tratta di attivismo e politica, vanno tenute in considerazione sapendo che sono un pezzo di una strategia più complessa: alcune competenze possono (e devono) essere formate attraverso una sorta di addestramento che si rischia spesso di sottovalutare. Si tratta, insomma, di lavorare su una più ragionata divisione di ruoli.
Come costruire questa riconoscibilità? È possibile farlo con delle scelte strategiche, sia politiche che comunicative? Come possiamo “utilizzare” questa caratteristica a vantaggio del movimento per il clima, anche nella relazione con i partiti?